Codice Civile art. 2484 - Cause di scioglimento 1 2 .

Salvatore Sanzo

Cause di scioglimento 1 2.

[I]. Le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata si sciolgono:

1) per il decorso del termine;

2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, salvo che l'assemblea, all'uopo convocata senza indugio, non deliberi le opportune modifiche statutarie;

3) per l'impossibilità di funzionamento o per la continuata inattività dell'assemblea;

4) per la riduzione del capitale al disotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dagli articoli 2447 e 2482-ter3;

5) nelle ipotesi previste dagli articoli 2437-quater e 2473;

6) per deliberazione dell'assemblea;

7) per le altre cause previste dall'atto costitutivo o dallo statuto4

7-bis) per l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale e della liquidazione controllata. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 2487 e 2487-bis5.

 

[II]. La società inoltre si scioglie per le altre cause previste dalla legge; in queste ipotesi le disposizioni dei seguenti articoli si applicano in quanto compatibili.

[III]. Gli effetti dello scioglimento si determinano, nelle ipotesi previste dai numeri 1), 2), 3), 4) e 5) del primo comma, alla data dell'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa e, nell'ipotesi prevista dal numero 6) del medesimo comma, alla data dell'iscrizione della relativa deliberazione.

[IV]. Quando l'atto costitutivo o lo statuto prevedono altre cause di scioglimento, essi devono determinare la competenza a deciderle od accertarle, e ad effettuare gli adempimenti pubblicitari di cui al precedente comma.

 

[1] V. nota al Capo VIII.

[2] Con riferimento alle misure connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19, v. le disposizioni temporanee in materia di riduzione di capitale di cui all'art. 6 d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv., con modif., in l. 5 giugno 2020, n. 40, come sostituito dall'art. 1, comma 266, l. 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021).

[3]   Per la sospensione degli obblighi di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. vedi l'art. 8, comma 1, d.l. 24 agosto 2021, n. 118, conv. con modif., in l. 21 ottobre 2021, n. 147.

[4] L'art. 3 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, aveva inserito il comma 1-bis, poi decaduto, in sede di conversione con l. 24 marzo 2012, n. 27. Il comma recitava: «La società semplificata a responsabilità limitata si scioglie, oltre che i motivi indicati nel primo comma, per il venir meno del requisito di età di cui all'articolo 2463-bis, in capo a tutti i soci».

[5] Numero aggiunto dall'art. 380, comma 1, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, come modificato dall'art. 39, comma 1, d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147.  Tale modifica, ai sensi dell'art. 389, comma 1,  d.lgs. n. 14, cit.,  come sostituito dall'art. 5, comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con modif., in l. 5 giugno 2020, n. 40, dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 24 agosto 2021, n. 118, conv. con modif., in l. 21 ottobre 2021, n. 147 e, da ultimo, sostituito dall'art. 42, comma 1, lett. a), d.l. 30 aprile 2022, n. 36, conv. con modif. in l. 29 giugno 2022, n. 79, entra in vigore il 15 luglio 2022, salvo quanto previsto al comma 2 del citato decreto.

Inquadramento

Al pari di qualunque norma introduttiva di una disciplina articolata, l'art. 2484 può essere considerata una norma «di sistema», nel senso che svolge la funzione di impostare nel complesso la materia oggetto della disciplina.

In particolare, ciò pare vero per effetto della riforma del 2003, che, nella materia dello scioglimento e della liquidazione, ha attuato l'unificazione della disciplina con riguardo a tutte le società di capitali.

Ed in effetti, forse, il primo elemento che risalta nel nuovo sistema è rappresentato dal fatto che, al contrario di quanto accaduto con riguardo alla maggior parte dei settori interessati dalla riforma, in materia di liquidazione si riscontrano due elementi importanti:

- da un lato, la «concentrazione» della disciplina della liquidazione e dello scioglimento, di tutte le società di capitali, in una normativa unitaria, indifferentemente applicabile – pur con le distinzioni «naturali» che attengono alle caratteristiche dei singoli tipi – alla s.p.a., alla s.r.l. ed alla s.a.p.a.;

- dall'altro lato, la collocazione sistematica del nuovo corpo normativo venuto fuori dal processo di unificazione in un capo autonomo, posto sostanzialmente nelle disposizioni di chiusura della disciplina generale delle società di capitali. Con il che, per l'appunto, le norme sulla liquidazione delle società di capitali hanno ora una collocazione completamente diversa da quella che si registrava nel testo originario del codice: oggi la disciplina è accorpata nel sistema unitario costituito dagli artt. 2484-2496 (salve ovviamente le singole norme contenenti, all'interno di altre discipline, disposizioni specifiche su liquidazione e scioglimento), laddove, nel sistema antecedente, gli artt. 2448-2457 disciplinavano scioglimento e liquidazione della s.p.a., l'art. 2464 – sia pure mediante un richiamo integrale alla disciplina della s.p.a. – regolava scioglimento e liquidazione della s.a.p.a. e l'art. 2497 regolava la materia per la s.r.l.

L'introduzione di un sistema unitario per le società di capitali ha prodotto il problema circa la possibilità di fare ancora ricorso alla disciplina delle società di persone per colmare eventuali vuoti normativi contenuti nella disciplina della liquidazione delle società di capitali. Il tema è analogo a quello che si è posto con la netta differenziazione e con il distacco normativo attuatosi tra s.r.l. ed s.p.a. e, probabilmente, una soluzione può essere trovata in termini analoghi, con il ritenere che gli effetti della oggettiva volontà legislativa di eliminare il sistema dei richiami «in blocco» o quello del riempimento «automatico» dei vuoti normativi, non possono essere forzati fino a far ritenere la sussistenza di un divieto di interrelazione tra discipline (interrelazione che può oggi funzionare evidentemente anche in forma biunivoca). Con la sola cautela, della necessaria, preventiva verifica di compatibilità tra le discipline stesse, alla stregua dei principî generali.

Da questo ultimo punto di vista, dunque, non dovrà mai trascurarsi la mutata ottica complessiva in cui il legislatore del 2003 si è posto, con riguardo alla liquidazione, rispetto al liquidatore del 1942.

Linee direttrici della riforma del 2003

L'elemento centrale della riforma parrebbe essere il vero e proprio capovolgimento di prospettiva in cui la normativa in materia di liquidazione dei valori aziendali si pone oggi rispetto al passato: mentre la disciplina del codice del 1942 presupponeva una struttura patrimoniale dell'impresa molto solida e fondata su «immobilizzazioni» di grande valore, quella dell'impresa contemporanea è certo povera sotto quel profilo, laddove invece è ricca di valori legati a persone ed a conoscenze. Ciò comporta che, il più delle volte, oggi, a differenza che in passato, l'attività liquidatoria generalmente consente migliori risultati, in termini attivi, laddove venga attuata con cessione «in blocco» dei cespiti attivi e non, come prima, mediante liquidazione dei singoli beni (soprattutto immobili); e comporta anche che la conservazione in genere passi attraverso la prosecuzione dell'attività, pena la perdita di tutti i valori attivi (primi tra tutti l'avviamento ed il know how).

Questo dato parrebbe l'elemento essenziale che ha condizionato il passaggio da una visione della liquidazione come momento in cui si imponeva una «paralisi operativa» completa agli organi gestori (paralisi oggettivata nel divieto di nuove operazioni sancito dall'art. 2449 del codice del 1942) ad una visione in cui l'attività liquidatoria viene, invece, vista come finalizzata soprattutto al «miglior realizzo» dei valori aziendali (secondo l'espressione dell'art. 2487, comma 1, lett. c). E rispetto a tale nuovo obiettivo, è evidente che il «fermo» dell'attività di impresa potrebbe provocare (ed in genere nelle attività di servizi normalmente provoca) il totale depauperamento dei valori aziendali, anche soltanto dopo pochi giorni dall'interruzione dell'attività e dalla cessazione della operatività ordinaria (che non può escludere anche il compimento di operazioni da qualificarsi come nuove).

Pare questa la linea guida della riforma in materia: quella di un'idea secondo cui la liquidazione non impone necessariamente una attività puramente conservativa, ma anzi essa pone a carico degli organi deputati alla gestione (liquidatori e, prima del loro insediamento, amministratori) un impegno finalizzato alla massima valorizzazione dei cespiti attivi, sia nell'interesse dei soci ai fini della liquidazione della partecipazione, sia, ancor prima, nell'interesse dei creditori, ai fini del miglior soddisfacimento delle loro pretese. A monte, però, e forse soprattutto, nell'interesse del «mercato» a che non siano dispersi valori produttivi che da altri possono essere parimenti sfruttati e migliorati.

In questa ottica, probabilmente, non è errato, allora, individuare le principali innovazioni in due norme, già prima richiamate, destinate a regolare situazioni diverse, ma indiscutibilmente collegate:

- l'art. 2486 che, nel disciplinare gli effetti del verificarsi di una causa di scioglimento con riguardo ai poteri degli amministratori, sancisce la perfetta «continuità» del potere gestorio («gli amministratori conservano il potere di gestire la società»), sia pure limitatamente alle finalità conservative tipiche della liquidazione, in un'ottica però rinnovata in cui si sottolinea il fatto che «conservare» non significa restare inerti: questo anche perché l'oggetto della conservazione, secondo il legislatore del 2003, non è soltanto la «integrità» del patrimonio sociale, ma anche il suo «valore», valore che potrebbe essere danneggiato (e che nell'ambito di un'attività di servizi sarebbe certamente distrutto) da una inerzia prolungata. Scompare definitivamente dunque il divieto di nuove operazioni sancito dall'art. 2449, il che, sul piano operativo, sia chiarito sin da ora, non è però detto che alleggerisca automaticamente, rispetto al passato, la posizione degli amministratori che, a dispetto della presenza di una causa di scioglimento abbiano indifferentemente proseguito l'attività imprenditoriale;

- l'art. 2487 che, nell'indicare il contenuto della delibera di conferimento dei poteri dei liquidatori, laddove elenca i criteri su cui «costruire» la gestione liquidatoria, sottolinea la rilevanza dell'attività di conservazione del valore dell'impresa nel suo complesso, rimarcando la preferenza per opzioni liquidatorie che garantiscano la conservazione del vincolo tra beni produttivi, piuttosto che liquidazioni disgregate: il tutto, comunque e sempre, in funzione del «miglior realizzo».

A quelli sin qui delineati, che appaiono come gli spunti innovativi più rilevanti (e, forse potrebbe dirsi, decisivi) della nuova disciplina, si accompagnano ulteriori importanti modificazioni di principio, tra cui meritano una segnalazione a parte:

- il nuovo potere dei soci, sancito dall'art. 2487, comma 1, lett. c), di segnare le linee guida dell'attività di liquidazione: nel senso che non è più la legge a fissare, a priori, i poteri dei liquidatori (assegnando ai soci solo un residuale potere di modificazione), ma è l'assemblea dei soci che, nel fare luogo alla nomina dei liquidatori, ne disegna anche i margini operativi e le finalità coerenti con gli scopi fissati dalla legge;

- una serie di modificazioni che potrebbero definirsi «spicciole», destinate a risolvere dubbi interpretativi specifici che la legislazione precedente aveva proposto: il tutto, conformemente a quella linea riformatrice invalsa negli ultimi anni, che propone una legislazione «casistica» finalizzata ad eliminare dubbi interpretativi sposando l'una o l'altra corrente giurisprudenziale formatasi nel vigore della legge precedente. È una tecnica discutibile, perché non considera che una legislazione che si sviluppi per ulteriori specificazioni perde sempre di più di vista la problematica generale ed apre il campo a nuovi conflitti sul particolare.

Le singole cause di scioglimento

Le singole cause che provocano lo scioglimento di una società di capitali vanno esaminate partitamente. In via preliminare merita solo di essere rimarcato il fatto che il Legislatore del 2003, con riguardo a tale problematica, ha seguito un'impostazione di massima per effetto della quale ha lasciato inalterata la struttura della norma che originariamente disciplinava lo scioglimento della società per azioni, introducendo, in forma espressa o tacita, modificazioni connesse ora all'estensione della disciplina alle altre società di capitali, ora alle innovazioni ulteriori prodotte dalla riforma.

Il decorso del termine

La disposizione dell'art. 2484, n. 1, è, nel testo, perfettamente corrispondente al contenuto dell'art. 2448, n. 1, del codice civile 1942.

Ciò non di meno il significato di essa deve considerarsi parzialmente modificato alla stregua della modificazione degli artt. 2328, comma 2, n. 13, per le s.p.a. e per la s.a.p.a., e 2463, per le s.r.l., i quali oggi, a differenza che in passato, consentono in forma espressa la costituzione di società di capitali senza indicazione del termine (introducendo poi, a bilanciamento del vincolo a carico dei soci, il diritto di recesso per coloro che non intendano restare a tempo indeterminato legati alla società).

Nel nuovo sistema, ovviamente, l'indicazione del termine di durata ha perso quel carattere di essenzialità sancito dalla disciplina originaria del codice: ciò non toglie che, in sede di costituzione, i soci possano prevedere l'indicazione di un termine di durata dell'ente societario. In questa eventualità, ovviamente, in applicazione della norma in commento, la scadenza del termine comporterà lo scioglimento di diritto e, dunque, in applicazione dell'art. 2485, comma 1, gli amministratori saranno tenuti a fare luogo alla immediata constatazione della scadenza del termine ed a dare corso agli adempimenti di cui all'art. 2484, comma 3 (Pasquariello, 1561).

Si reputa pacificamente che oggi, come nel sistema previgente, la durata possa essere prorogata (Vaira, 2029; Prato, 1479): siffatta proroga comporta ovviamente che il termine non sia scaduto e che quindi non siano stati compiuti i correlati obblighi pubblicitari (in tale eventualità, infatti, sarebbe necessario procedere alla formale revoca della liquidazione divenuta già operativa) (Pasquariello, 1562).

La nuova normativa ripropone il tema della ammissibilità di una previsione statutaria che fissi il termine di durata e, simultaneamente ne contempli la proroga tacita: la questione, in epoca anteriore alla riforma del 2003, era stata risolta nel senso della nullità di una clausola siffatta, alla stregua della ritenuta inderogabilità della previsione che imponeva la predeterminazione di un termine fisso di durata (Cass. n. 5472/1998).

L'eliminazione di siffatta previsione dovrebbe indurre automaticamente il convincimento che oggi sia ammissibile costituire una società di capitali con previsione tacita del termine di proroga: con l'unica cautela, però, di evitare che tale previsione costituisca una forma di elusione del diritto di recesso che compete al socio in presenza di una indeterminatezza della durata (Prato, 1479). Secondo un orientamento dottrinale deve escludersi la possibilità di una proroga tacita delle società, giacché, nell’ambito delle società di capitali, ogni modifica dell’atto costitutivo presuppone l’osservanza delle forme legali previste, non potendo derivare da fatti concludenti (Ghionni Crivelli Visconti, 25)”

Resterebbe peraltro da approfondire il tema circa la riferibilità alla società di atti compiuti dopo lo scioglimento (Pasquariello, 1562).

Cause inerenti all'oggetto sociale

La giurisprudenza ha statuito che “l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale possa configurarsi quale causa legittima di scioglimento della società allorquando rivesta caratteri di assolutezza e definitività tali da inficiare la ragion d'essere e la produttività del vincolo sociale” (cfr., ex multis, Cass. civ., 21.07.1981, n. 4683, vedi massima giur. It.,1981); tale statuizone non è mai stata messa in discussione, essendo stata ripresa anche dalla giurisprudenza successiva (si veda, ad esempio, Tribunale Milano, Sez. XV, 03.03.2022).

La norma dell'art. 2484, n. 2 è, sotto alcuni aspetti, la reiterazione della disposizione originaria del codice civile, integrata però da novità intrinseche ed estrinseche determinate dal sistema riformato e che possono essere schematizzate nei seguenti termini:

a) la previsione reiterativa è quella di fondo: oggi, come già nella vigenza del codice del 1942, il raggiungimento dell'obiettivo prefissato con la stipulazione del contratto costitutivo della società, ovvero, al contrario, la definitiva impossibilità del raggiungimento di quell'obiettivo, costituiscono – sul piano logico ancor prima che su quello giuridico – cause che fanno legittimamente venir meno il vincolo societario;

b) la innovazione estrinseca è rappresentata dalla disposizione dell'art. 2328, n. 3, che, per espressa scelta legislativa, ha visto modificata la prescrizione di indicazione, nell'atto costitutivo, dell'«oggetto sociale» con quella, indiscutibilmente più specifica, di indicazione dell'«attività che costituisce l'oggetto sociale»: tanto, al dichiarato scopo di evitare, come per il passato, indicazioni estremamente vaghe, come tali idonee a consentire in sostanza lo svolgimento di qualsivoglia attività e creare difficoltà anche in ordine alla correttezza da parte degli amministratori nell'attuazione della attività gestoria. La specificazione dell'oggetto dovrebbe rendere evidentemente più agevole l'accertamento tanto del raggiungimento di esso quanto dell'impossibilità di raggiungerlo;

c) la innovazione intrinseca è costituita invece dalla previsione aggiuntiva, all'interno della norma che disciplina la causa di scioglimento, che l'assemblea possa operare una sorta di ripensamento e, pur posta di fronte al verificarsi alla causa di scioglimento, decida di «mantenere in vita» il contratto, ovviamente facendo luogo alle «opportune modifiche statutarie». Ci si trova, dunque, in presenza di una di quelle cause di scioglimento che parrebbero ad operatività «non immediata»: in realtà, la previsione normativa, specie se rapportata (come pare necessario) all'art. 2485, non è di agevole interpretazione. Il sistema costruito dal combinato disposto delle due previsioni non pare lineare, in quanto:

- l'art. 2485, comma 1, n. 2, impone agli amministratori di accertare «senza indugio» la causa di scioglimento e di fare prontamente luogo all'adempimento degli incombenti di cui all'art. 2484, comma 3, primo fra tutti quello rappresentato dall'iscrizione della causa di scioglimento nel registro delle imprese;

- nel caso qui in esame, dunque, in applicazione di dette disposizioni, gli amministratori dovrebbero verificare che l'oggetto sociale sia stato raggiunto (ovvero non sia più realizzabile), adottare la relativa delibera di accertamento ed iscriverla nel registro delle imprese;

- sennonché, l'art. 2484, comma 1, n. 2, per come è costruito sul piano testuale, parrebbe prevedere come causa ab origine impeditiva dello scioglimento della società la determinazione dell'assemblea che deliberi le opportune modifiche: la delibera, dunque, sembrerebbe in radice causa impeditiva dello scioglimento e dunque interverrebbe ad eliminarne gli effetti ancor prima che esso possa operare.

Il Tribunale di Milano ha sostenuto che la perdita della continuità aziendale non possa ascriversi all’interno della causa di scioglimento per impossibilità del conseguimento dell’oggetto sociale. se si compara la nozione di continuità aziendale come delineate dalle fonti di prassi contabile con la fattispecie normativa di cui all’art. 2484, comma 1, n. 2 c.c., emerge con chiarezza che:  

“- La fattispecie di scioglimento attiene ad una valutazione circa una situazione attuale, definitiva ed irreversibile in cui versa la società, mentre la valutazione circa la sussistenza o la mancanza di continuità aziendale è di natura prospettica, cioè ha a che fare con previsioni circa il futuro della società in un determinato arco temporale (12 mesi), e, come tale, attiene ad una situazione non definitivamente cristallizzata ed invece tipicamente reversibile. Si tratta di prospettive valutative all’evidenza non compatibili tra loro.

- Nella “fattispecie” di continuità aziendale rientrano fattori di natura e tipologia disparate, molti dei quali ictu oculi estranei al tema della possibilità/impossibilità di conseguire l’oggetto sociale”.

(Trib. Milano, Sez. Impr., 12. 10. 2023, in Le società, 10/2024, p.1086-1087)

Inoltre, sempre la giurisprudenza ha sostenuto che che: “la stessa perdita di continuità aziendale non integra una causa di scioglimento della società ai sensi dell'art.2484 n.2 c.c., poiché tale evento deve essere interpretato secondo una concezione funzionale e assoluta del relativo impedimento; pertanto, tale causa di scioglimento presuppone un quadro societario tale da frustrare in modo irreversibile la finalità sottostante alla permanenza del vincolo societario.”(Corte d'Appello Firenze, Sez. spec. in materia di imprese, Sent., 27.04.2023, n. 884).

Un tentativo di coordinamento tra tali previsioni dovrebbe condurre a ritenere che, di fronte al verificarsi della causa di scioglimento qui in esame, gli amministratori debbano accertarne senza indugio la ricorrenza, con propria delibera, ma non facciano luogo alla iscrizione della stessa presso il registro delle imprese, bensì attivino il meccanismo costruito dal legislatore al fine di evitare che quella causa possa assumere effettiva operatività, anche a livello interno: essi dunque, del pari senza indugio, dovranno procedere a convocare l'assemblea dei soci, cui rimetteranno la valutazione se apportare o meno quelle modifiche statutarie che possano consentire la rimozione definitiva della causa di scioglimento. Solo in caso di mancata delibera in tal senso, essi amministratori procederanno ad iscrivere nel registro delle imprese la propria deliberazione di accertamento della causa di scioglimento, i cui effetti non sono siano stati rimossi dall'unico organo che ne avrebbe avuto il potere.

Questa la procedura fisiologica. Ovviamente sono ipotizzabili, in ottica patologica, gli scenari più differenti:

- gli amministratori potrebbero non rilevare la causa di scioglimento. In tale eventualità si dovrebbe ritenere pienamente operativo l'art. 2485, comma 2, con il potere del tribunale di fare luogo all'accertamento, ma senza che il relativo decreto possa essere oggetto di immediata iscrizione, dovendosi necessariamente effettuare in via preventiva il passaggio assembleare prescritto dall'art. 2484, comma 1, n. 2;

- gli amministratori potrebbero rilevare la causa di scioglimento ed iscriverla nel registro delle imprese, «saltando» il doveroso passaggio assembleare: in questa eventualità essi assumerebbero responsabilità per l'omissione, ma, in tale situazione, parrebbe proprio che l'unico mezzo per impedire lo svolgimento del procedimento liquidatorio sarebbe quello della revoca dello stato di liquidazione, a norma dell'art. 2487-ter;

- gli amministratori potrebbero, infine, rilevare la causa di scioglimento ed accertarla formalmente, ma omettere, sia la convocazione dell'assemblea, sia l'iscrizione nel registro delle imprese: poiché, secondo la ricostruzione sopra offerta, accertamento e delibera assembleare sono momenti non scindibili di questo procedimento, si determinerebbero le condizioni per adire il tribunale e chiedere la convocazione dell'assemblea per la deliberazione circa la modificazione o meno dello statuto.

Infine, è stato autorevolmente prospettata l’ipotesi per la quale: “l’impossibiltà sopravvenuta di perseguire l’oggetto sociale possa configurarsi laddove la società si presenta totalmente priva di assetti interni adeguati, ossia di una strutturale manageriale idonea – avuto riguardo alla natura, all’attvità e ala dimesnone dell’impresa – a intercettare temperstivamente segnali premonitori di crisi e di perdita della continuità aziendale” (Benazzo, 1095 ss)

L'impossibilità di funzionamento e la continuata inattività dell'assemblea

La causa di scioglimento qui in esame è materia frequente della prassi contenziosa societaria, caratteristica delle società di capitali in cui si trovino due soci con partecipazioni paritetiche che siano entrati in conflitto insanabile, in un contesto in cui lo statuto, l'atto costitutivo od i patti parasociali non contemplino modalità automatiche di risoluzione del conflitto.

Il principio che dirige l'applicazione della norma in questione deve essere quello stesso già formulato nella vigenza del testo originario della norma (rimasto peraltro immutato): non qualunque ipotesi di difficoltà nella formazione di una maggioranza assembleare integra l'impossibilità di funzionamento, richiedendosi invece una vera e propria paralisi dell'attività assembleare.

Sul punto, sono state giudicate cause di scioglimento della società di capitali: “l’impossibilità di funzionamento dell'assemblea ordinaria, che, a causa del dissidio persistente ed insanabile insorto tra i soci ovvero del loro continuato disinteresse per le attività sociali, non è in grado di adottare le delibere essenziali per l'attività societaria quali la nomina degli amministratori o l'approvazione del bilancio, o la perdurante litigiosità giudiziale dei soci senza prospettiva di accordo ed il blocco delle funzioni essenziali dell'assemblea, convocata senza esito molte volte.” (Tribunale Ancona, Decreto, 18.12.2014) (Tribunale Ancona, Decreto, 18.12.2014).

Il che si determina soltanto quando in maniera stabile ed irreversibile l'assemblea risulti incapace di funzionare (Cass. n. 8030/2000; Cass. n. 9267/1996 ). Peraltro, nell'affermare il principio appena richiamato, la Suprema Corte non ha mancato di sottolineare la necessità che si tratti di delibere essenziali per la vita sociale: non sarebbe dunque sufficiente l'impossibilità di adottare una qualsivoglia delibera, risultando invece necessaria la mancata adozione di una delibera qualificata. Sul piano casistico, ad esempio, sono state ritenute tali la delibera di nomina degli amministratori o dei sindaci (Cass. n. 16999/2004); l'approvazione del bilancio (Trib. Milano 26 giugno 1990, in Dir. e giust., 2005, 5, 33; Trib. Brescia 24 giugno 2011, in Soc., 2011, 1074).

La riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale

La norma dell'art. 2484, n. 4, contiene una sola novità rispetto al testo originario dell'art. 2448: tale novità è la conseguenza della necessità di coordinare il sistema attuale in cui la causa di scioglimento in questione trova regolamentazione in due distinte norme, l'art. 2447 per le s.p.a. e l'art. 2482-ter per le s.r.l..

Sul piano concreto, la causa di scioglimento per riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale rappresenta certamente la causa di scioglimento di maggiore rilievo operativo (anche perché essa assume rilevanza nelle azioni di responsabilità conseguenti all'insolvenza della società).

Essa richiede un necessario, preventivo passaggio in assemblea, poiché le due norme surrichiamate contemplano espressamente il potere dell'organo rappresentativo dei soci di rimuovere con effetto ex tunc siffatta causa di scioglimento (Sanzo, 1688).

Le problematiche operative sono molto simili a quelle già individuate con riferimento all'ipotesi di scioglimento connessa all'oggetto sociale: di fronte alla costatazione degli amministratori della riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale non si determinano dunque automaticamente gli effetti di cui all'art. 2485, comma 1 e 2484, comma 3, ma gli amministratori sono tenuti a convocare l'assemblea cui debbono prospettare alternative:

- la ricostituzione del capitale sociale;

- rendere edotti i soci della possibilità di accedere ad uno specifico strumento di regolazione della crisi di impresa e dell'insolvenza, senza che ciò si traduca in una deliberazione assembleare che vincoli gli amministratori ad accedere allo strumento o ad uno strumento diverso rispetto a quello individuato dagli amministratori o, ancora, in un divieto di avvalersi di questi strumenti in quanto ciò sarebbe contrario alla norma imperativa ex art. 120 bis CCII.

- la trasformazione della società;

- lo scioglimento della stessa.

Ove non si raggiungesse una qualunque maggioranza idonea ad assumere una delle determinazioni appena indicate, gli amministratori sarebbero tenuti a dare corso agli adempimenti conseguenti al verificarsi dello scioglimento.

La situazione non muta ove la perdita del capitale sociale sia da considerarsi integrale (Pasquariello, 1565).

In chiusura, è diverso far notare che gli artt. 20, co.1, 64, co.1, e 89, co.1, CCII sono norme cruciali per le società in quanto sospendono ex lege, dal momento del deposito della domanda giudiziale (ad avviso dello scrivente, anche con riserva) sino alla conclusione del procedimento relativo al mezzo prescelto per fronteggiare la crisi e l'insolvenza, le disposizioni inerenti il c.d. obbligo “ricapitalizza o liquida” (artt. 2446, co. 2-3, 2447,2482-bis, co. 4-6 e 2482- ter c.c.), con relativa inoperatività della causa di scioglimento ex artt. 2482, co. 1, n. 4 e 2545-duodecies del codice civile.

Le fattispecie regolate dagli artt. 2437-quater e 2473

L'innovazione di sistema rappresentata dalla possibilità di recesso del socio anche dalle società di capitali ha comportato l'introduzione della nuova previsione dell'art. 2484, n. 5, il cui schema di funzionamento dovrebbe essere il seguente (anche alla stregua delle due norme richiamate dalla disposizione in esame, che disciplinano il recesso, rispettivamente, nella s.p.a e nella s.r.l.):

- recesso da parte di uno dei soci;

- conseguenziale necessità di fare luogo al rimborso della partecipazione al socio recedente (con modalità diverse ed adempimenti differenziati a carico degli amministratori, rispettivamente, di s.p.a. e di s.r.l.);

- impossibilità di fare luogo al rimborso in conseguenza della mancata «collocazione», presso soci o presso terzi, delle partecipazioni del recedente, nonché del difetto di riserve disponibili, cui si accompagni la mancata adozione, da parte dell'assemblea della deliberazione di riduzione del capitale sociale (rispetto alla quale è contemplata dagli artt. 2445 e 2482 la legittimazione dei creditori sociali a proporre opposizione).

In buona sostanza dunque la causa di scioglimento qui in esame si determina o in conseguenza della mancata delibera di riduzione del capitale sociale o per effetto dell'accoglimento della opposizione dei creditori in ordine a detta delibera:

- il primo caso non pone profili particolarmente problematici, poiché nella sostanza attiene ad un caso di scioglimento della società deliberato dall'assemblea dei soci: con riguardo ad esso, dunque, gli amministratori non dovranno fare altro che procedere alla iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di scioglimento. Laddove l'assemblea, posta di fronte all'alternativa tra riduzione e scioglimento nulla deliberi, spetterà agli amministratori prendere atto del verificarsi – oggettivo – di una causa di scioglimento: pare che solo l'adozione, in positivo, della deliberazione di riduzione del capitale impedisca l'ineluttabilità dello scioglimento, di fronte alla impossibilità di rimborsare con diverse risorse la partecipazione del socio receduto;

- il secondo caso pone invece il problema del rapporto tra sentenza di accoglimento dell'opposizione proposta dai creditori avverso la delibera di riduzione del capitale sociale ed effetto dello scioglimento. In dottrina vi è la tendenza a ritenere automatico l'effetto dissolutivo in conseguenza del passaggio in giudicato del provvedimento giudiziale che renda definitivamente inefficace la delibera di riduzione del capitale sociale per effetto dell'opposizione del creditore, anche se, sul tema, potrebbe porsi una questione di coordinamento tra la disciplina delle s.p.a. e la disciplina delle s.r.l. (Vaira, 2041).

La deliberazione assembleare

Nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema, apparentemente nulla è cambiato, poiché l'attuale testo dell'art. 2484, comma 1, n. 6, ripropone perfettamente quello del previgente art. 2448, comma 1, n. 5.

Va però considerato che, nel contesto innovativo complessivo, le maggioranze necessarie per l'adozione della deliberazione di liquidazione sono state significativamente ridotte, con conseguente rafforzamento del potere della maggioranza, anche tenuto conto che, come è stato correttamente osservato, la delibera deve semplicemente esprimere in maniera univoca la volontà di provocare la liquidazione della società, senza che sia necessaria alcuna motivazione (Pasquariello, 1567): il che potrebbe forse giustificare nel nuovo sistema una diversa impostazione del tema dell'invalidità della deliberazione che decida la liquidazione per abuso della maggioranza (Sanzo, 1692).

La causa di scioglimento in questione evidentemente opera in forma diversa rispetto agli altri casi in cui l'assemblea è chiamata a pronunciarsi sulla (ed eventualmente a rimuovere la) causa di scioglimento che si sia oggettivamente determinata: in quei casi, infatti, la delibera assembleare ha efficacia meramente dichiarativa in termini di ricognizione dell'evento dissolutivo estrinseco rispetto all'organo assembleare, laddove nella fattispecie qui in esame essa delibera ha efficacia costitutiva dello scioglimento oltre che modificativa dell'atto costitutivo, con tutto quanto ne consegue in termini di norme pubblicitarie e procedimentali a seconda del tipo societario (Pasquariello, 1567).

Le cause previste dallo statuto o dall'atto costitutivo. La correlata previsione dell'art. 2484, comma 4

L'art. 2484, comma 1, n. 7, rappresenta la norma di chiusura che vuole attribuire all'autonomia negoziale il potere di determinare cause di scioglimento diverse da quelle contemplate dal legislatore: nel nuovo sistema si contempla, coerentemente con le previsioni di ordine generale, che siffatta causa di scioglimento possa essere prevista oltre che nell'atto costitutivo anche nello statuto.

In stretta correlazione con la previsione convenzionale di una causa di scioglimento l'art. 2484, ultimo comma, dispone che in simile eventualità l'atto costitutivo o lo statuto regolino anche la competenza a decidere o ad accertare il verificarsi dello scioglimento nonché la competenza agli adempimenti pubblicitari regolati dall'art. 2484, comma 3.

Si reputa che per il caso in cui lo statuto o l'atto costitutivo contemplino una causa convenzionale di scioglimento ma poi omettano di disciplinarne l'operatività secondo le prescrizioni dell'art. 2484, ultimo comma, ci si troverebbe in presenza di una clausola invalida o quanto meno inefficace (Vaira, 2044; Dimundo, 38).

Le altre cause previste dalla legge: la novità introdotta con la riforma della legge fallimentare

Anche il codice civile nel testo originario prevedeva cause di scioglimento «diverse», in quanto contemplate in altre norme di legge: il riformatore del 2003 ha ritenuto opportuno sostituire quella disposizione con una norma «aperta» che lascia spazio al potere del legislatore di individuare cause di scioglimento esterne al sistema normativo del diritto societario del codice.

Con le molteplici riforme societarie e concorsuali degli ultimi anni, era stata eliminata la causa di scioglimento rappresentata dalla dichiarazione di fallimento della società, causa, quest'ultima, che è stata reintrodotta  attraverso l'art. 380 d.lgs. n. 14/2019- Codice della crisi.

Infatti, il nuovo n. 7-bis, collocato nel  comma 1 dell'art. 2484, determina l'inserimento della liquidazione giudiziale (alter ego del vecchio fallimento) e della liquidazione controllata (alter ego della vecchia liquidazione giudiziale ex artt. 14 ss. della legge 27 gennaio 2012, n. 3) tra le cause di scioglimento delle società di capitali, così da ripristinare parzialmente il regime anteriore alla riforma realizzata con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Infatti, il legislatore del 2003 aveva abrogato l'art. 2448, comma secondo, c.c., che includeva esplicitamente la dichiarazione di fallimento tra le cause di scioglimento delle società di capitali, introducendo così, come rilevato in dottrina (cfr. Nicolini, 2003, 172), una discrasia tra la disciplina prevista per le società di capitali e quella prevista per le s.n.c. e per le s.a.s. dagli artt. 2308 e 2322 c.c.

Si può ritenere che la decisione assunta dal Legislatore del 2009 muova dal fatto che anche per le società di capitali lo stato di insolvenza, così come la condizione di crisi economico-finanziaria della società, siano tali da far emergere una situazione tale da rendere impossibile il soddisfacimento routinario delle obbligazioni e, di conseguenza, il perseguimento dell'oggetto sociale.

È chiaro, infatti, come l'apertura di una procedura di liquidazione, sia essa giudiziale o controllata, oltre ad essere indice dell'emersione di un impedimento non neutralizzabile con i normali mezzi messi a disposizione della società, è tale anche da suggerire un contesto in cui il perseguimento del risultato che i soci si erano posti ab origine è divenuto economicamente svantaggioso, se non addirittura impossibile.

Deve, tuttavia, porsi l'accento su un aspetto non abbastanza tenuto in debita considerazione: come meglio si avrà modo di approfondire nel prosieguo, incombe sugli amministratori l'obbligo di accertare “senza ritardo” il verificarsi della causa di scioglimento (2485 c.c.) e convocare l'assemblea in quanto organo deputato al nominare i liquidatori (2487 c.c.). Eppure, quanto si è appena asserito non trova riscontro in un diverso ambito, segnatamente nel contesto della liquidazione giudiziale (art. 233 CCII) e della liquidazione controllata (art. 276, co.1, CCII che richiama il 233 CCII), atteso che, in queste ipotesti, la prerogativa di convocare l'assemblea non spetta agli amministratori, bensì agli organi della procedura: il curatore o il liquidatore (giudiziale). Infatti, saranno loro a convocare l'organo assembleare all'esito della procedura concorsuale affinché adotti le deliberazioni necessarie ai fini della ripresa dell'attività o della sua cessazione.

Quanto alle fattispecie di scioglimento oggi individuabili all'esterno della disciplina qui in esame, possono richiamarsi:

- l'art. 2332, comma 4, c.c. relativo alla nullità della società;

- l'art. 145, comma 5, TUF per il caso di riduzione per perdita del capitale sociale di s.p.a. quotate in borsa, in conseguenza dell'alterazione del rapporto tra categorie di azioni;

- l'art. 223-quater, comma 2, disp. att. c.c. in relazione alla mancanza o la invalidità delle autorizzazioni di cui agli artt. 2329, n. 3 e 2436, comma 2, c.c.

Gli effetti dello scioglimento

Certamente gli effetti che si determinano in conseguenza del verificarsi di una causa di scioglimento costituiscono il tema più spinoso sotto il profilo interpretativo della disciplina in esame.

Il legislatore del 2003 parrebbe aver adottato una scelta diversa rispetto all'impostazione che caratterizzava il testo originario del codice civile, con riguardo al quale (soprattutto in relazione alle disposizioni espresse degli artt. 2448 e 2449, comma 1) si riteneva che le cause di scioglimento avessero effetto automatico, con la conseguente efficacia meramente dichiarativa dell'accertamento compiuto dagli amministratori e con la parimenti conseguente irrilevanza dell'avvenuta pubblicazione o meno dell'evento presso il registro delle imprese.

Il sistema attuale pare invece meno netto rispetto a questa visione.

Se pure, infatti, l'art. 2484, comma 1, utilizza la locuzione «le società... si sciolgono», quasi a fare intendere l'effetto automatico delle cause di scioglimento, quanto meno altre due disposizioni parrebbero essere in soluzione di continuità rispetto al passato:

- per un verso, la norma dell'art. 2484, comma 3, che è destinata espressamente a regolare gli effetti dello scioglimento, e che espressamente subordina la produzione dei medesimi soltanto alla esecuzione della pubblicità, presso il registro delle imprese dell'atto di accertamento della causa di scioglimento;

- per altro verso, la previsione di una serie di obblighi a carico degli amministratori che non hanno semplicemente ad oggetto, come in passato, le regole gestorie in conseguenza del verificarsi dello scioglimento, ma mirano specificamente a creare un sistema nel quale lo stesso accertamento e la pubblicizzazione della causa di scioglimento vanno a comporre la serie di adempimenti riconnessi alla funzione di amministrazione.

La constatazione di tale innovazione ha condotto a ritenere, da parte di molti interpreti, nell'imminenza della riforma, l'eliminazione della efficacia automatica della causa di scioglimento e, dunque, l'impossibilità di prospettare la persistenza dell'effetto meramente dichiarativo dell'accertamento effettuato dagli organi sociali e l'introduzione di una pubblicità costitutiva che sarebbe, a tutti gli effetti, il momento (necessario) dal quale lo scioglimento inizia a spiegare effetti.

Elaborazioni più meditate, in realtà, sin da epoca immediatamente successiva all'entrata in vigore della riforma, hanno sollecitato un approccio più equilibrato, segnalandone l'idoneità a cogliere più a fondo le effettive modifiche di sistema (Niccolini, 1726).

Un approccio siffatto rappresenta forse il punto di partenza più corretto per una ricostruzione coerente del nuovo sistema:

a) pare indubbio, invero, che il legislatore abbia «costruito», nell'art. 2484, le cause di scioglimento come eventi ad efficacia automatica, anche laddove dipendenti da decisioni di organi sociali;

b) nel contempo, l'art. 2485, comma 1, ha strutturato un vero e proprio obbligo a carico degli amministratori di accertare senza indugio il ricorrere di una causa di scioglimento;

c) ai fini della certezza dei rapporti, però, i relativi effetti vengono espressamente «postergati», dall'art. 2484, comma 3, al momento in cui l'atto societario (decisione/deliberazione degli amministratori o dell'assemblea) che accerta la causa stessa, venga fatto oggetto di pubblicazione presso il registro delle imprese;

d) ciò non di meno, gli amministratori sono tenuti, in forza dell'art. 2486, comma 1, ad una gestione di tipo liquidatorio (quindi, conservativa) sin dal momento del verificarsi oggettivo della causa di scioglimento, del tutto a prescindere da ogni valutazione circa il loro stato soggettivo: nel senso che non assume rilievo il fatto che essi abbiano o meno rilevato la sussistenza della causa o ne abbiano ritardato la pubblicizzazione;

e) non pare, però, del tutto esatto affermare che, nel nuovo sistema, l'oggettivo verificarsi del fatto che dà luogo allo scioglimento sia sempre indifferente nei riguardi del mondo esterno alla società: tanto, nella misura in cui, a norma dell'art. 2486, comma 2, la responsabilità degli amministratori per la violazione delle regole gestorie che assumono rilievo in conseguenza del verificarsi dell'evento dissolutivo, non è limitata ai rapporti con la società e con i soci, ma si estende anche «ai creditori sociali ed ai terzi»: costoro, dunque, potranno far valere una pretesa risarcitoria nei confronti di amministratori che abbiano omesso di rilevare ovvero di pubblicizzare una causa di scioglimento e che, nel contempo, abbiano gestito la società ignorando detta causa, con ciò cagionando un pregiudizio alle loro ragioni. Se la causa di scioglimento fosse del tutto indifferente rispetto ai terzi, tale regola sarebbe incompatibile con il sistema.

La constatazione di tali elementi forse rende superfluo il dibattito circa la portata dichiarativa o costitutiva della pubblicizzazione dell'evento dissolutivo, poiché i dati su cui ci si confronta consentono di accreditare l'una o l'altra tesi, ma nessuna delle due in maniera decisiva e finale.

L'approccio interpretativo più equilibrato sembra, dunque, quello diretto a prendere atto che, certamente, nei rapporti tra amministratore e società (e, forse, più in generale, in ambito endo-societario) la causa di scioglimento ha effetto automaticamente, per il sol fatto oggettivo di essersi verificata; nei rapporti esterni, invece, la causa di scioglimento non può produrre effetti se non si sia dato corso all'ulteriore attività, rappresentata dalla pubblicazione dell'atto di accertamento dello scioglimento presso il registro delle imprese.

Se una simile disciplina integri un sistema di pubblicità costitutiva ovvero meramente dichiarativa forse non è possibile dirlo, e, in fin dei conti, sarebbe di secondario rilievo accertarlo, avendo il legislatore della riforma risolto a monte il problema della determinazione degli effetti dello scioglimento nei confronti di tutti i protagonisti della scena societaria.

Dunque, nei confronti del mondo esterno alla società non si producono gli effetti conseguenti allo scioglimento sino a quando non si proceda alla pubblicazione sul registro delle imprese dell'atto con cui si fa luogo all'accertamento del verificarsi dell'evento dissolutivo.

In tal senso ed a tali fini, l'art. 2484, comma 3, chiarisce che l'atto oggetto di pubblicazione, riguardo all'efficacia esterna della causa di scioglimento, deve essere:

- nei casi di scioglimento per la decorrenza del termine di durata della società (art. 2484, comma 1, n. 1), per il conseguimento dell'oggetto sociale o per l'impossibilità di conseguirlo (art. 2484, comma 1, n. 2), per l'impossibilità di funzionamento dell'assemblea o per la sua reiterata inattività (art. 2484, comma 1, n. 3), per la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale (art. 2484, comma 1, n. 4) e per lo scioglimento necessitato dal recesso di un socio (art. 2484, comma 1, n. 5), l'atto con cui l'organo amministrativo accerta il verificarsi della causa di scioglimento;

- nel caso di scioglimento per deliberazione assembleare (art. 2484, comma 1, n. 6), la deliberazione stessa;

- si è già ricordato sopra, invece, che, a termini dell'art. 2484, ultimo comma, le cause di scioglimento di natura convenzionale debbono contemplare anche tutti gli aspetti connessi all'accertamento od alla decisione ed alla relativa pubblicità.

Il contesto che rimane dopo lo scioglimento della società

Nonostante lo scioglimento, persistono diritti e doveri in capo alla società. Infatti, nel caso in cui i creditori sociali non siano stati integralmente soddisfatti, questi potranno far valere i propri crediti, nel rispetto, però, di limiti prestabiliti. Essi, infatti, avranno la possibilità di agire nei confronti degli ex soci potendo pretendere dagli stessi una somma pari a quella da loro riscossa. Vi sono però dei limiti: i creditori, infatti, possono agire nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse alla luce del bilancio finale di liquidazione, e possono agire nei confronti dei liquidatori solo se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi.

Con riguardo, invece, la legittimazione ad agire degli ex soci di società estinta, laddove residuino rapporti facenti capo a questa ed ancora pendenti dopo la cancellazione dal registro delle imprese, si determina un fenomeno successorio rispetto al quale occorre distinguere: (i) nel caso in cui l'ex socio agisca per un debito della società estinta, che non sia stato oggetto di definizione in sede di liquidazione, la successione riguarderà tutti i soci che erano tali al momento della cancellazione, posto che essi succedono nei rapporti debitori già facenti capo alla società. In sostanza, si determina un litisconsorzio di natura processuale per effetto del quale tutti i soci dovranno essere chiamati in giudizio, ciascuno dei quali sarà responsabile nei limiti della propria quota di partecipazione. (ii) Nel caso in cui, invece, l'ex socio agisca per un credito della società estinta, pur rimanendo immutato il meccanismo successorio, la mancata liquidazione comporta la creazione tra i soci di un regime di contitolarità, con esclusione del litisconsorzio (Cass. 11 giugno 2019, n. 15637).

Nel caso in cui la cancellazione della società dal registro delle imprese si verifichi mentre pende un giudizio originariamente intrapreso dalla società stessa, non si verifica l'automatica estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (Cass., 22 maggio 2020, n. 9464). Diverso il caso in cui la cancellazione della società dal registro delle imprese, dipenda dal trasferimento della sede all'estero: in questa circostanza, infatti, la società non viene meno e, quindi, non perde nemmeno la sua legittimazione processuale ad agire o resistere in giudizio (Cass. 12 febbraio 2020, n. 3375).

Gli effetti della pandemia

Dal momento che la crisi derivante dall'epidemia da Covid-19 ha determinato una situazione di perdita patologica di capitale di tutte le imprese, comprese quelle che, prima della pandemia, si trovavano in condizioni economiche stabili e solide, il d.l. 8.4.2020, n. 23, c.d. Decreto Liquidità, pubblicato in pari data in G.U. e convertito con modificazioni dalla L. 5.6.2020, n. 40, all'art. 6 ha disposto la temporanea disapplicazione delle cause di scioglimento di cui al n. 4), 1° comma, della norma in commento (nonché dell'art. 2545 duodecies) per il periodo compreso dalla data di entrata in vigore del decreto e sino al 31 dicembre 2020.

In considerazione del protrarsi dello stato emergenziale determinato dal Covid-19, il Legislatore è nuovamente intervenuto sull'articolo in commento (così come anche sugli artt. 2446, 2447, 2482 bis, 2482 ter e 2545-duodecies) attraverso la Legge di Bilancio 2021 (L. 30.12.2020, n. 178, in G.U. n. 322 del 30.12.2020) con la quale sono state temporaneamente cristallizzate le perdite emerse nell'esercizio 2020, le quali potranno essere riassorbite nell'arco dei successivi cinque anni (in sede di approvazione del bilancio al 31.12.2025), purché vengano chiaramente indicate nella nota integrativa con specifica indicazione della loro origine.

Il quadro legislativo appena descritto, peraltro, è stato mitigato dall'intervento del MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) il quale, con la Circolare n. 26890 del 29 gennaio 2021, ha chiarito la natura non obbligatoria della previsione sopra indicata e la conseguente facoltà delle singole società di deliberare, in ogni caso, lo scioglimento della società.

Sul tema si è pronunciato anche il Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie che ha pubblicato dodici pareri in merito alla cristallizzazione delle perdite disposta dall'art. 6, d.l. 8.4.2020, n. 23, come modificato dall'art. 1, comma 266, l. 30 dicembre 2020, n. 178. In particolare, quest'ultimo ha chiarito che, nell'ipotesi in cui l'assemblea non deliberi il rinvio delle perdite all'esercizio 2025, né la riduzione del capitale e la sua ricostituzione ad un importo non inferiore al limite di legge, né la sua trasformazione, opererà la causa di scioglimento prevista dall'art. 2484, comma 1, n. 4.

Bibliografia

P. Benazzo, La perdita della continuità aziendale quale causa di scioglimento di società per azioni per “sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale” ai sensi dell’art. 2484, comma 1, n. 2, c.c., In Le Società, 10, 2024, pp. 1089 ss; Bini, Dibattito sulle novità introdotte dal legislatore in tema di bilanci e di valutazioni per contrastare l’emergenza Covid, in Soc., 2021, 200; Bottai, Le modifiche al codice civile dettate dalla L. 155/2017 e l’affermazione del diritto concorsuale societario, in ilfallimentarista.it, 23 aprile 2018; Busani, Quinquennio di grazia per le perdite emerse nel 2020, in Soc., 2021, 201 ss.; P. Ghionni Crivelli Visconti, Sciolgimento e liqudazione delle società di capitali, in codice civile. Commentaro, Giuffrè, Milano, 2021, p.3 ss c.c., in Nicolini, La disciplina dello scioglimento, della liquidazione e dell’estinzione delle società di capitali, in Ambrosini (a cura di), La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, Torino, 2003; Niccolini, Sub art. 2484, in Società di capitali: commentario, a cura di Niccolini, Stagno d’Alcontres, II, Napoli, 2004; Prato, Sub art. 2484, in Aa.Vv., Codice commentato delle s.p.a., diretto da Fauceglia, Schiano di Pepe, II, 2, Torino, 2007; Sanzo, Scioglimento e liquidazione, in Aa.Vv., Le nuove s.p.a., a cura di Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010; Spiotta, Tanto tuonò che piovve: perdita della going concern e scioglimento della società, in Giur. it, 2022;  Pasquariello, Sub art. 2484, in Aa.Vv., Commentario breve al diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Milano, 2017; Vaira, Sub art. 2484, in Aa.Vv., Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, III, Bologna, 2004.

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